Wednesday, July 02, 2014

Food Porn in my Kitchen!





Mousse di fragole
Ingredienti:
500 g di fragole
200 g di panna vegetale
100 g di di latte vegetale
70 g di zucchero di canna
2 g di agar- agar

Per la salsa:
200 g di fragole
2 cucchiai di zucchero di canna
1 cucchiaio di limone

Lavare e tagliare le fragole a pezzetti, frullate a immersione con la panna e lo zucchero.

Questo l’ho fatto, pensò, rileggendo la prima frase della ricetta e guardando la ciotola con il composto. La appoggiò piano al centro del tavolo, chinandosi leggermente in avanti. Due pensieri le attraversarono la mente: immaginò il momento in cui avrebbe gustato il dolce con lui; la sua faccia goduriosa e sorpresa.

Il secondo pensiero era più vezzoso: alzando i talloni, si chiese se le mutandine chiare che aveva indossato le facessero un bel sedere. E se il vestitino cortissimo che aveva scelto lo lasciasse intravedere abbastanza.

In un pentolino, mescolate il cucchiaino di zucchero con l’agar-agar, aggiungete il latte un pò alla volta togliendo ogni grumo.

Prese il pentolino e affondò il cucchiaio con decisione e mescolò con vigore. Aveva sempre amato le cucine grandi e accoglienti. Non era solo il luogo in cui preparare da mangiare, ma la loro sala da pranzo, la stanza in cui parlare di questioni importanti. Non di rado, era anche la loro alcova. Ogni mobile, ogni oggetto, rivestiva per lei un significato affettivo. E anche una semplice mousse di fragole aveva un suo senso. Si sentiva attraente, mentre mescolava gli ingredienti. Non solo per i movimenti del suo corpo, né per il vestitino volutamente troppo corto che indossava. Ma perché in quel dolce stava impastando il suo amore per lui.

Per la salsa: lavate le fragole, tagliatele a pezzettini. In un tegame mettete le fragole, il limone, lo zucchero.

Spesso pensava a quanto fossero sensuali i gesti di una cuoca. Si chiedeva se chi scriveva le ricette si fosse mai accorto di quanta somiglianza ci fosse con i movimenti dell’amore. Immerse un dito nella ciotola e lo portò alle labbra. Senza ostentata voluttà, ma con piacere, con la stessa naturalezza con cui faceva l’amore.

Attraversò la cucina per andare verso il fornello. I tacchi delle scarpe risuonavano sul pavimento. Versò la crema nella ciotola, osservandola colare. Strinse il cucchiaio di legno tra le dita e iniziò a girare, sentendo pian piano il composto indurirsi.

Un brivido di eccitazione le percorse la schiena: il corpo cucinava, ma la mente immaginava di stringerlo, accarezzarlo, manipolarlo, sentendolo crescere nelle sue mani. Avrebbe continuato fino a condurlo al limite del piacere.

Frullate a immersione, fate raffreddare e ponete in frigo fino al momento di servire la mousse.

Sciolse il nodo che teneva il vestito e lo lasciò cadere ai suoi piedi. In mutandine e tacchi alti attraversò nuovamente la cucina e appoggiò la pentola sul piano di marmo vicino al lavello.
Sul quel marmo avevano fatto l’amore più di una volta. Lo trovava della giusta altezza e amava il contrasto tra il freddo della pietra e il calore che sentiva sprigionasi dal corpo di lui.
Semi nuda, in mezzo alla cucina inondata dal sole d’estate, portò a termine l’operazione resistendo alla tentazione di affondarci il dito e portarselo alla bocca.

«E ora» disse ad alta voce, «bisognerà aspettare che la crema si raffreddi…»

Si voltò e, per la prima volta da quando aveva iniziato a cucinare, guardò l’uomo seduto sulla sedia all’angolo della stanza, rosso in volto, evidentemente coinvolto dallo spettacolo a cui stava assistendo. Ma, come lei gli aveva chiesto, non aveva fatto un gesto né detto una parola. Aveva solo lasciato che, attraverso il suo sguardo, il desiderio arrivasse al culmine. Senza perdere il contatto visivo, si avvicinò, si chinò e lo prese per mano, lo condusse al tavolo. Appoggiò il busto sul piano e chiuse gli occhi.



Curcuma
Lo incontrai di nuovo una sera a casa di un’amica, durante una cena. Mangiammo del riso con verdure o forse un cous cous, non ricordo. Lo guardavo mangiare. Pensavo si stesse contenendo per imbarazzo, incontrai più volte il suo sguardo e lo vidi arrossire.

Avevo voglia di dolce, mi alzai e cercai di prendere la marmellata, mentre la mia amica ci raccontava le sue ultime disavventure erotico-amorose. Lui si alzò per aiutarmi e mi sfiorò un seno porgendomi il vasetto.
I nostri sguardi non si incrociarono, ma li lo notai. Aveva le spalle larghe, era alto, la barba nera e folta, le labbra carnose.

Pensavo a quel giorno, seduta nella sua cucina a guardarlo cucinare. Con la tranquillità di colui che sa quello che fa, mondava le verdure, tritava le cipolle, il rosmarino, che con il suo profumo impregnava la stanza.
Si muoveva sciolto, era nel suo ambiente, sfumava il soffritto con il vino e sciacquava i ceci nel lavello. Mi guardava e sorrideva mentre mi porgeva una bruschetta alla bocca.
Mentre la mordevo, pensava a come sarebbe stato, sfilarmi la camicia e portarmi su per le scale fino alla camera, ma questo lo scoprirò solo dopo.

I suoi occhi parlavano ed io lo capivo benissimo. Scolava i ceci e li versava nel soffritto in un gioco di movimenti, in una danza, come i nostri gesti, i nostri sguardi. Mi passava un boccone e lo prendovo tra i denti. Afferrò la curcuma e il profumo si mescolò al rosmarino, mi avvolse e pensai che non era più estate. In 30 minuti preparò ed impiattò. Il vino bianco era aperto ed era nei calici.

Seduti uno di fronte all’altra godeva dei complimenti e per chi cucina non c’è niente di meglio. Si avvicinava per farmi gustare il sugo con il pane ed un brivido gli percorse la schiena quando lo afferrai con i denti.
Odore di rosmarino e curcuma, i sensi erano al massimo, la distanza che ci separava dalle scale non esisteva più, mi trascinò per la mano ed ero ormai persa. Mentre non era più estate, mi ritrovai stretta tra le sue braccia, in un caldo abbraccio umido, abbandonata a lui.


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